Il teatro di Tindari, che Bernabò Brea datò alla fine del IV inizi del III sec. a.C., è forse da riferire ad un periodo più recente, più precisamente al tardo II secolo a.C.. Fu edificato nella parte occidentale della città, sfruttando la pendenza della collina di Capo di Tindari, appoggiato alla naturale conformazione a conca, nella quale furono scavate le gradinate dei sedili della cavea, in posizione scenografica con la cavea rivolta verso il mare. Costruito in pietra arenaria in età greca, in seguito in epoca imperiale romana venne interamente rimaneggiato per adattarlo a giochi circensi.
Il teatro di «Tyndaris» sorse quasi a ridosso dalla fortificazione sud-orientale della città. Durante la fase ellenistica, la fronte posteriore della scena prospettava sul decumanus superiore, mentre il Koilon (la cavea dei Romani) fu realizzato aperto a Nord-Ovest, verso il mare, dotato di uno splendido giro di orizzonte; la parte centrale venne appoggiata sulla collina, mentre le ali laterali su terrapieni artificiali. Non si conosce il numero originario delle gradinate della cavea; si calcola, in base alla dimensione, una capienza di circa 3000 spettatori. L’orchestra dall’abituale conformazione a ferro di cavallo, era delimitata dall’euripo (canale per lo smaltimento delle acque). Delle parodoi, originarie dell’impianto greco, si conserva più compiutamente quella occidentale, evidenziata nel corso delle campagne di restauro del 1960, in pratica definita dal tratto obliquo del muro frontale dell’ala del koilon. La scena era del tipo a paraskenia (ali laterali) come nei teatri di Segesta, Siracusa, Monte Iato, Morgantina e ornata con elementi architettonici di ordine dorico; il koilon è datato tra la fine del IV e gli inizi del III sec a.C., mentre l’edificio scenico andrebbe datato, in base a raffronti con altri teatri, al II-I sec. a.C. Nel corso della fase romana imperiale, vengono soppressi i primi quattro gradini di ogni cuneo della cavea e viene eretto un podio più alto, rivestito di crustae marmoree; essa viene circondata da un doppio porticus in summa cavea; l’analemma est viene reso rettilineo e a ridosso di questo viene eretto un grande edificio rettangolare, che si ipotizza sia stato utilizzato come deposito dell’attrezzatura scenica, o come gabbia per gli animali destinati alle venationes. L’Orchestra viene ribassata e trasformata in arena; la parodos ovest viene soppressa e viene ricavato un piccolo ambiente trapezoidale scoperto, inaccessibile dall’esterno, dal quale si diparte un breve corridoio a volta, terminante in una nicchia accessibile dall’arena; la stessa trasformazione si ripete simmetricamente sul lato est, con la differenza che qui il piccolo ambiente trapezoidale è accessibile anche dall’esterno, così da costituire un vero ingresso alla conistra. Durante il periodo ellenistico, l’edifico scenico (proskenion) è totalmente soppresso; il podio viene addossato alla scaenae frons e, in corrispondenza dei tre corridoi della skenè greca, vengono collocate tre aperture più piccole; in corrispondenza della valva regia viene creato un canale di drenaggio (datazione: I-II sec. d.C.).
La prima ricomposizione grafica sostanzialmente attendibile della “scaenae frons” ellenistica, attraverso il rilievo e lo studio dei numerosi elementi architettonici superstiti crollati ed accumulatisi nei pressi della scena, si deve, nel 1928, ad Heinrich Bulle. Questa ricostruzione venne ripresa da Bernabò Brea con alcune modifiche importanti maturate attraverso il rinvenimento e l’esame di altri pezzi architettonici reimpiegati nel vicino tratto sud-orientale delle fortificazioni bizantine. L’edificio scenico ellenistico è ben leggibile nella sua articolazione planimetrica, dopo i restauri del 1960. I vari frammenti dei tre ordini della scena sono attualmente visibili all’esterno dell’Antiquarium, nella sistemazione voluta da Bernabò Brea. I materiali ceramici, recuperati nei saggi effettuati da Luigi Bernabò Brea nei pochi lembi superstiti di stratigrafia originaria nell’area del koilon, condurrebbero a datarne la costruzione fra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. Rispetto al koilon, la realizzazione della scena dovrebbe porsi in età successiva, in base alla sua articolazione architettonica ed alla tipologia degli elementi decorativi. Bernabò Brea, sulla linea di Heinrich Bulle, la inserisce nella temperie architettonica dell’età di Ierone II, cronologicamente vicina fra l’altro alla monumentalizzazione della scena del teatro di Siracusa. Tyndaris avrebbe quindi usufruito, già agli inizi del III secolo a. C., di un complesso teatrale stabile la cui scena però, in un primo periodo, doveva essere costituita da una struttura precaria in legno ad un solo piano. Pur trovando convincente questa ipotesi, si può concordare con l’esigenza di una verifica, anche a fronte degli esiti di recenti definizioni di dati cronologici e inquadramento stilistico di alcuni teatri siciliani (quello di Segesta in primo luogo), per il quale è stata accertata una cronologia unitaria del monumento alla seconda metà del II secolo a.C. Nessun dubbio invece sulle modifiche che il monumento subì in avanzata età imperiale, quando la trasformazione dell’orchestra in arena ne sancì il cambiamento funzionale come anfiteatro. In età imperiale il teatro di Tyndaris, come quello di Taormina, subì sostanziali mutamenti per potervi far svolgere combattimenti di gladiatori e venationes (combattimenti con animali feroci) e attribuirgli così le funzioni di anfiteatro, trasformando l’orchestra in arena (conistra), pertanto venne sensibilmente abbassato il piano d’orchestra; queste trasformazioni furono finalizzate alla realizzazione dell’alto podio che circondò l’arena, come Taormina, per difendere l’incolumità degli spettatori da eventuali sconfinamenti ed assalti delle belve impegnate nelle venationes.
Il Teatro fu costruito alla distanza di circa 50-60 m dalla città, nelle vicinanze della fortificazione sud-orientale; Il Koilon (la cavea dei Romani) aveva diametro frontale di circa 76 m. Nella parte centrale era direttamente addossato al fianco meridionale della collina, nella quale furono scavate le gradinate dei sedili della cavea, mentre le ali poggiavano su un terrapieno sorretto da possenti analemmata (muri di sostruzione) in blocchi di arenaria ed era diviso in undici kerkides (scalette). L’orchestra, definita dal tratto obliquo del muro frontale dell’ala del koilon, aveva un diametro di 24 m. ed era delimitata dall’euripo. Le parodoi (ingressi alla cavea e all’orchestra per il pubblico e gli attori), originarie dell’impianto greco, assai strette (larghezza m. 1,10), erano paralleli agli analemmata frontali. La scena era del tipo a paraskenia (ali laterali). L’edificio scenico ellenistico è composto dal nucleo centrale, costituito da due vani quadrangolari piuttosto ampi costituenti la skenè, divisi fra loro da un corridoio; due corridoi laterali separavano ciascuna di queste due sale centrali dai paraskenia suddivisi in due ambienti. Si ipotizza che quelli posteriori ospitassero due scalette conducenti al piano superiore. I due corridoi laterali si aprivano posteriormente con porte a fornice, delle quali è stato possibile ricostruire con gli elementi originali quella occidentale insieme ad un tratto dell’elevato del muro corrispondente, ricostruito per otto filari. Non rimangono in posto resti del proskenion, demolito in età imperiale. Originariamente, fra il coronamento superiore del proskenion e la parte mediana del fondale scenico, si attestava il logeion (palcoscenico) alla cui sommità si svolgeva la rappresentazione. Della “scaenae frons” ellenistica l’altezza congetturata attraverso la ricostruzione, prima di Heinrich Bulle e successivamente da Bernabò Brea, era di circa 12 m. Si può descrivere sinteticamente l’elevato in ordine dorico, rinviando per i particolari all’ormai storico plastico ricostruttivo di Francesco D’Angelo: 1. Il piano inferiore era scandito da un porticato. 2. Il piano mediano era articolato da tre porte, di dimensioni maggiori la centrale (la cosiddetta “porta regia”), fiancheggiate da semicolonne doriche. Altre due porte inquadrate da lesene si aprivano nei paraskenia. Il coronamento superiore era costituito da un fregio dorico con alternanza di metope lisce e triglifi. 3. Il piano attico era costituito da un fronte liscio scandito da lesene mentre l’ultimo piano dei paraskenia, in ciascuno dei quali si apriva una finestra, era coronato da un timpano. In età imperiale il piano d’orchestra venne sensibilmente abbassato di m. 0,90, rimuovendo contestualmente i quattro gradini terminali di ogni cuneo e riducendo il diametro del koilon (ora cavea) e venne eliminato completamente il logeion. Queste trasformazioni erano finalizzate alla realizzazione dell’alto podio che raggiungeva probabilmente i m.2,50 di altezza. Al centro del podio, in corrispondenza del sesto cuneo, si apre una nicchia semicircolare “cieca”, con volta in laterizio. Nel tratto tangente all’estremità inferiore della scaenae frons, il podio presenta tre porte, di cui restano le soglie, in corrispondenza di quelle della scena di età greca. Un allineamento di cinque piccole buche, parallele alla scaenae frons, fa ipotizzare l’installazione occasionale dell’alloggiamento dei pali di un pulpitum (palcoscenico) ligneo per le rappresentazioni teatrali. Sul lato orientale, fra la fronte della cavea (modificata rispetto all’impianto greco da un muro rettilineo) ed il decumanus, venne costruito un edificio rettangolare, destinato probabilmente a scenoteca (deposito delle scene e di altre attrezzature teatrali), di cui rimangono i lati lunghi e l’ingresso ovest marcato da una imponente soglia. Il muro del podio che si eleva poderoso al di sopra di uno zoccolo aggettante in corrispondenza del toichobates (il filare più basso), era realizzato soprattutto con blocchi di reimpiego, in buona parte provenienti dal proskenion e dal logeion greci e probabilmente rivestito da crustae marmoree. Appartiene alla fase di età imperiale anche il robusto muro con fondazione in calcestruzzo che delimitava la summa cavea ed al di sopra del quale doveva impostarsi un portico come nei teatri di Catania e Taormina.
Informazioni
- Consistenza fisica: Consistenza fisica parziale
- Stato di conservazione: Discreto
- Copertura mobile: 3G
- Livello copertura mobile: 6
Anno:
Il teatro di «Tyndaris» rimasto a lungo in stato di abbandono e conosciuto solo per le illustrazioni del XIX secolo, viene menzionato per la prima volta dal Principe di Biscari. L’Houël nel primo volume della sua opera dà una precisa descrizione corredata di tavole, limitata però alle sole gradinate, dal momento che l’edificio scenico in quel periodo era ancora interrato. Il monumento fu interamente messo in luce dal Serradifalco durante gli scavi archeologici condotti tra il 1842 e il 1845, ma questi furono condotti però troppo in profondità e causarono un dissesto delle fondazioni dell’edificio scenico, al quale si sommarono i crolli dovuti allo smottamento della collina su cui erano state adagiate le gradinate della cavea, tanto che l’edificio si era presentato in condizioni migliori all’Houël nel 1770, piuttosto che al Bulle sul finire degli anni ‟20 del secolo scorso. Nel 1938 furono effettuati i primi restauri condotti dalla Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale (Giuseppe Cultrera e Sebastiano Agati), seguiti dalla monografia sulla città di Tindari di Parisi. Una nuova serie di restauri venne iniziata dalla Soprintendenza a partire dal 1960 ('60 - '66 - Luigi Bernabò Brea); la completa acquisizione del monumento e la sistematica ricatalogazione dei resti architettonici già iniziata dal Bulle, portò all’importantissimo contributo di Bernabò Brea, il quale, oltre ad un resoconto della storia degli scavi e degli studi precedenti, presenta una descrizione molto accurata della struttura greca e dei rifacimenti apportati durante la fase romana, coi quali il teatro venne adattato ad arena per i giochi circensi. Molto importanti le considerazioni sulla cronologia del monumento: il koilon infatti viene datato alla fine IV o agli inizi del III sec. a.C. in base ai dati di scavo, mentre l’edificio scenico, sulla scorta delle ipotesi del Bulle e sulla base dell’analisi stilistica dei frammenti architettonici rinvenuti (i saggi di scavo nell’area della scena non avevano prodotto risultati) viene datato al 240 a.C. circa e anzi il Bernabò Brea aggiunge che «dovremmo vedere non solo nella scena del teatro di Tindari, ma nell’intero complesso di edifici di cui esso fa parte, comprendente anche il teatro di Segesta e la scena più antica a paraskenia del teatro di Siracusa, come creazione della età di Ierone II».
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Collezionista: Rebus edizioni
Data: 2005
Ente gestore
- Tipologia ente: PARCO ARCHEOLOGICO
- Denominazione: PARCO ARCHEOLOGICO DI TINDARI
- Direttore: Domenico Targia ad interim
- Indirizzo: Tindari - Villa Amato -Via Monsignor Pullano 98066 PATTI ME
- Email: parco.archeo.tindari@regione.sicilia.it
- Pec: parco.archeo.tindari@legalmail.it
- Telefono: 0941369023