L’andamento altimetrico di Montevergine, acropoli della città greca, ha influito in maniera determinante sulle scelte costruttive del Teatro e del vicino Odeon posto a quota più alta. Mentre la parte inferiore della gradinata (ima cavea), è direttamente poggiata sul pendio naturale, la media e la summa cavea sono sostenute da potenti muri radiali.
Direttamente sopra gli analemmata greci furono impostate le strutture di contenimento della prima fase romana del teatro, che ne ricalcarono l’andamento rettilineo; la cavea rimase dunque compresa entro i limiti predeterminati, ma mentre nell’ima cavea fu mantenuta la struttura del koilon greco, la costruzione della media cavea richiese l’edificazione di muri semicircolari paralleli che definirono le due confornicationes semianulari le quali, comunicanti per mezzo di scale interne, danno accesso alle gradinate della media cavea per mezzo di vomitoria disposti sull’asse centrale di ogni cuneo. L’accesso da valle avveniva certamente attraverso gli aditus maximi, disposti parallelamente all’edificio scenico e già provvisti dei tribunalia; questi comunicano con il primo ambulacro tramite scale interne, e in questa prima fase presentavano la fronte arretrata rispetto ai limiti inferiori dei cunei dell’ima cavea. La Branciforti nella sua analisi evidenzia le analogie riscontrabili tra la cavea etnea e quella di Pompei del periodo augusteo, ma la minore estensione delle gradinate e la presenza di due sole confornicationes, inducono tuttavia a rivalutare anche le ipotesi che erano già state avanzate da O. Belvedere, il quale mette in relazione il sistema di viabilità interna del teatro etneo con quello del “teatro di Marcello” a Roma (fine del I sec. a.C.), anch’esso contraddistinto dalla presenza di due confornicationes che corrono a ridosso dell’ima e della media cavea, e che quindi avrebbe potuto essere preso a modello per la progettazione dell’edificio etneo. Nonostante ciò, la presenza di un basso corridoio radiale sull’asse del teatro, che raccorda l’orchestra con il primo ambulacro, sembrerebbe confutare tale ipotesi, a meno di considerare questo corridoio più tardo rispetto alla prima fase giulio-claudia. Ora, i già citati teatri di Pompei e di Marcello sono privi di corridoi sul loro asse, dunque non sembra azzardato ritenere che in questa fase l’accesso all’orchestra, alla proedria e ai primi gradini della cavea avvenisse solo attraverso gli aditus maximi. Sugli accessi da monte la Branciforti ha potuto constatare che il decumano individuato nelle ex scuderie dei PP. Benedettini e che lambisce il vicino odeon, se prolungato ipoteticamente in direzione Est, penetra nel III ambulacro, da ciò sostiene che il decumano, durante la prima fase romana, rasentasse il prospetto esterno superiore dell’edificio, ma allo stato attuale non è possibile individuare la posizione dei vari accessi da monte, dal momento che l’ampliamento in summa cavea determinò un generale riassetto tanto del limitrofo spazio urbano, quanto dello stesso prospetto esterno del teatro. Leggibili le modifiche apportate al teatro, dove, con la costruzione della III confornicatio, la cavea fu ampliata – raggiungendo una capienza stimata, intorno ai settemila spettatori – e ulteriormente ripartita orizzontalmente per meglio corrispondere alla gerarchica società romana. A questo ampliamento corrispose l’edificazione di un nuovo prospetto esterno semicircolare che, degradando da monte, sui fianchi e a valle si elevava notevolmente, raccordandosi all’edificio scenico che fu innalzato al suo stesso livello. Al III ambulacro fu addossata una porticus in summa gradatione nella quale, al livello più alto, era anche incorporata la summa cavea che viene a trovarsi direttamente sopra quello (inizi del II sec. d.C.). La parte sommitale della cavea era raggiungibile tramite scale poste in avancorpi addossati al prospetto esterno, mentre un ulteriore passaggio da monte, svolgendosi al di sotto del III ambulacro, permetteva di accedere alla parte bassa dell’edificio; appoggiata al prospetto esterno fu costruita una scala per accedere alla parte alta della cavea, scala che si inerpicava sopra i quattro ampi passaggi esistenti, di questa è stata rinvenuta la parte più bassa che doveva essere provvista di una porta o cancello.
L’ampliamento del teatro fu probabilmente uno degli esiti del programma edilizio e delle elargizioni fornite a tale scopo dall’imperatore Adriano nella sua visita sull’isola del 127 d.C., a seguito della quale fu investito del titolo di restitutor Siciliae in emissioni coniate per tale circostanza. A supporto di tale cronologia al periodo degli Antonini, è stato osservato da Belvedere che dall’adventus dell’imperatore sembra abbiano tratto i vantaggi maggiori le città poste sul versante orientale dell’isola. L’ultima fase di utilizzo del teatro è collocata nel IV sec., in un periodo in cui si registra il declino degli edifici pubblici di Catina, il teatro mantenne la propria destinazione, ma le modifiche apportate, variamente interpretate dagli archeologi, interessarono principalmente l’orchestra. Sebbene il podio si conservi solo per un tratto esiguo in corrispondenza del secondo e del terzo cuneo, non sembra irragionevole ritenere che questo dovesse estendersi in egual misura lungo tutto il margine inferiore dell’ima cavea; Al muro del palcoscenico furono sovrapposti i muri meridionali dei due aditus maximi, ampliati fino a raggiungere la fronte inferiore dei cunei dell’ima cavea, accrescendo ulteriormente la capienza del teatro. Sarà Roger John Anthony Wilson (1990) ad esaminare le strutture romane del teatro di Catania, avvalendosi dei dati prodotti dalle nuove campagne di scavo che interessarono tanto la cavea, quanto l’edificio scenico. La cavea fu messa in luce fin dove lo consentivano le strutture moderne ad essa addossate. Wilson, dopo una precisa disamina dei materiali di costruzione dei tre corridoi voltati che corrono sotto le gradinate, avanza l’ipotesi che l’attuale struttura sia il risultato di un rifacimento databile al II sec. d.C., che avrebbe profondamente modificato le strutture delle due fasi ad esso antecedenti, rispettivamente del periodo augusteo o giulio-claudio (I fase), e del periodo flavio (II fase), entrambe caratterizzate da una cavea di dimensioni minori, e prive di corridoi interni (confornicationes). Dal rinvenimento di nuovi pannelli marmorei della scaena viene avanzata la proposta di un monumentale rifacimento della scaenae frons, dell’orchestra a kolymbètra e della cavea (soppressione delle prime file), agli inizi del III sec. d.C.
La cavea ((koilon – cavea), del diametro di m.98, di cui si ipotizza una capienza di 7.000 spettatori, (alla fine del XIX secolo Adolf Holm ne visita la struttura e ne ipotizza per primo la capienza di 7000 persone, un dato poi non più verificato, ottenuto da un calcolo relativo alle dimensioni dell'edificio che poté desumere all'epoca, mettendole a confronto con gli edifici teatrali a lui noti) per buona parte visibile, è strutturalmente connessa all’edificio scenico e comunica con esso mediante un complesso sistema di corridoi, che consentivano il passaggio, oltre che agli ambienti retrostanti anche alle torri scalari; la cavea, aperta verso sud-est, è suddivisa orizzontalmente in tre settori (maemaniana), attraverso due corridoi (diazomata - praecintiones) e verticalmente è costituita da nove cunei (kerkides – cunei) delimitati da otto scalette (klimakes – scalaria) in pietra lavica. Le due praecintiones dividono le tre parti della cavea: - l’ima cavea, la parte inferiore, caratterizzata dalla presenza di gradoni di pietra calcarea, che in origine erano rivestiti da lastre di marmo; - la media e la summa cavea costruite su poderosi muri radiali, attraversati e messe in comunicazione orizzontalmente da tre ambulacri, che si aprono verso l’esterno tramite diversi cunei, collegati tra loro da scale e muniti di accessi ai vari settori delle gradinate (vomitoria). Ai piedi della cavea si apre l’orchestra, lo spazio circolare compreso tra l’edificio scenico e la cavea stessa. La parte alta del Teatro, nel tratto corrispondente ai cunei centrali, si erge sul pianoro esterno. Come tutti gli edifici teatrali di età romana, la cavea, che si conclude con un unico gradone in pietra lavica davanti al quale passa l’euripo (canale per la raccolta delle acque di scolo), è unita all’edificio scenico. I due cunei posti alle estremità (tribunalia) in una prima fase erano arretrati rispetto agli altri. Successivamente furono allungati ed allineati con i rimanenti cunei, aumentando così il numero di posti per gli spettatori. Come ci indica S. Ittar nei suoi disegni (1812) al III ambulacro, del quale non si conserva l’ultima parte orientale crollata quasi sicuramente a causa del terremoto del 1693, si addossava un loggiato, porticus in summa gradatione, (secondo Ittar le colonne, numerose, dovevano costituire un loggiato sulla sommità della scalinata, uguale al teatro romano di Taormina, esemplare più grande e reso famoso dai viaggiatori del Grand Tour),del quale oggi restano alcune tracce sulla parete rivolta verso la cavea,mentre il I e il II ambulacro sono percorribili per l’intero emiciclo.
Informazioni
- Consistenza fisica: Consistenza fisica parziale
- Stato di conservazione: Discreto
- Copertura mobile: 4G
Anno: 1938
la Soprintendenza archeologica della Sicilia orientale procedette alla liberazione di una parte dell’Ima cavea e liberò una porzione del III ambulacro superiore, lavori questi documentati in un rilievo eseguito da P. Coupel (FREZOULS 1982, 379,18) e da foto d’archivio realizzate prima dell’inizio delle demolizioni degli anni ’50. Prima di allora nei primi decenni del XX secolo del Teatro era a vista solo una porzione della cavea sovrastata dalle costruzioni moderne ed era visitabile il I ambulacro, entrambi già liberati da Biscari (PAGNANO 2001,49).
Anno: 1951
con la ripresa degli scavi venne messa in luce più di metà della cavea, si individuarono anche alcuni tratti dell’euripo e del pavimento marmoreo dell’orchestra, già scavata in parte nel 1832 da M. Musumeci. Tra i numerosi marmi recuperati (colonne e frammenti scultorei), si evince anche una iscrizione, che si rivelò di straordinaria importanza, nella quale si riferisce dello spectabilis consularis provinciae Siciliae che restituì al Teatro la statua dei fratelli Pii precedentemente asportata (LIBERTINI 1953,349; MAZZARINO 1956,137 – 141).
Anno: 1990
Con le campagne di scavo condotte sotto la direzione di Maria Grazia Branciforti, si è potuto analizzare in maniera più chiara l’evoluzione del monumento sin dalla sua fase greca. La Branciforti sostiene che le strutture greche debbano essere riferite ad un theatron databile al IV sec. a.C. e che il primo impianto romano (I sec. d.C.) fu impostato direttamente sui muri perimetrali rettilinei del teatro greco e sarebbe stato anch’esso di dimensioni più piccole della struttura odierna. Inoltre sostiene che già da questa prima fase la cavea sarebbe stata dotata di due confornicationes, mentre la fronte della scena doveva essere definita da muri rettilinei, da quel che si evince dalle fondazioni della valva hospitalis orientale. Nella seconda fase (II sec. d.C.) alla cavea sarebbe stato conferito un andamento semicircolare, e sarebbe stata inoltre provvista del terzo ambulacro e della porticus in summa gradatione. Alle pareti rettilinee della scena della fase precedente si sarebbero sostituite delle pareti a fondo curvo, interrotte da stretti corridoi laterali e provviste di colonne in avancorpo su basamenti, dei quali uno si conserva ancora in situ. L‟ultimo rifacimento romano (IV sec. d.C.) avrebbe interessato solo l’ima cavea e l’area scenica: le prime file del secondo e del terzo cuneo, e parte dell’euripo furono obliterati per la creazione di un basso podio; alla frons pulpiti, mossa alternativamente da esedre curvilinee e rettilinee rivestite da crustae (in parte ancora conservate), furono addossate cinque scalette, mentre l’orchestra sarebbe stata ripavimentata con lastre di diversa misura, che non rispettarono i motivi geometrici della pavimentazione in sectile del I sec. d.C. Secondo Wilson tali trasformazioni sarebbero da riconnettere all’adattamento dell’orchestra in kolymbetra, ma la Branciforti non sembra prendere in considerazione tale ipotesi, pur non negandola. L’impegno profuso negli ultimi anni ha notevolmente accresciuto le conoscenze sul teatro romano etneo, ciononostante, le incognite riguardanti la trasformazione dell’orchestra in kolymbetra, la ricostruzione della struttura dell’impianto greco (classico e poi ellenistico), la connessione con il vicino Odeon e la posizione del teatro nel tessuto urbano della Catania greca e poi romana, fanno chiaramente intendere quanto il pregevole lavoro.
Anno: 2004
I lavori eseguiti fino al 2008 (BRANCIFORTI) hanno consentito di acquisire importanti dati per la conoscenza del Teatro grazie alla demolizione della maggior parte delle costruzioni moderne che ancora insistevano sul lato orientale della media e summa cavea.(PAGNANO 2007b c.d.s.), anche se purtroppo non hanno potuto contemplare la riconfigurazione di gradoni della cavea, ricollocati con qualche approssimazione nel corso dei restauri di metà del secolo scorso, secondo un più praticabile rapporto tra alzata e seduta, né il locale contenimento delle acque dell’Amenano che, scorrendo interrate, a causa delle realizzazioni della rete fognaria e del banchinamento portuale che hanno sollevato il livello e lo sbocco a mare, straripano a primavera ed in estate sull’orchestra;
Ente gestore
- Tipologia ente: PARCO ARCHEOLOGICO
- Denominazione: PARCO ARCHEOLOGICO E PAESAGGISTICO DI CATANIA E DELLA VALLE DELL'ACI
- Direttore: D'Urso Giuseppe
- Indirizzo: Via Vittorio Emanuele, 266 95100 CATANIA CT
- Email: parco.archeo.catania@regione.sicilia.it
- Pec: parco.archeo.catania@pec.net
- Telefono: 0957150508
- Sito internet: http://www.poloregionalecatania.net/